
I datori di lavoro privati che sospendano o riducano l’attività, possono ricorrere allo strumento della Cassa Integrazione Guadagni Ordinaria senza dover corrispondere alcuno contributo addizionale
Decreto Sostegni bis e Licenziamenti. Quale Sblocco?
Il 25 maggio u.s. è stato pubblicato il Decreto Legge 73/2021 meglio conosciuto come Decreto Sostegni Bis. A passo svelto, l’attuale Governo, rassicurato da un quadro generale più roseo sia sul fronte epidemiologico, sia sul fronte europeo, con questo decreto, ha iniziato a buttare il cuore oltre l’ostacolo.
Il quadro entro il quale tutto l’impianto normativo si colloca si connota sicuramente di un generale ottimismo indotto dall’avanzamento spedito della campagna vaccinale; dal calo dei contagi; dell’arrivo della bella stagione alla quale è correlata la ripartenza di numerose attività e, con esse, della vita sociale del Paese (si pensi ai settori della ristorazione, intrattenimento, cultura e turismo); dall’ok ricevuto dalla UE al PNRR che sta iniziando ad iniettare nel nostro sistema nuove risorse economico-finanziarie.
Per quel che riguarda il mercato del lavoro, l’appuntamento più atteso era rappresentato dal primo slot di sblocco dei licenziamenti introdotto dal primo Sostegni, previsto a partire dal 01 luglio 2021 e rivolto al settore industriale. Tale previsione, come si poteva immaginare, ha creato, nel corso delle settimane successive all’entrata in vigore del Decreto, numerose reticenze e pressioni sul fronte sindacale portando ad importanti mobilitazioni con le manifestazioni di domenica 27 giugno u.s. nelle principali piazze italiane.
Nello specifico, con un abile esercizio di equilibrismo tra interessi contrapposti e forze politiche molto distanti tra loro, l’art. 40 del D.L. Sostegni Bis, riabilita, seppur timidamente, la normativa sui licenziamenti per motivi economici. La stessa Commissione Europea, con le “Raccomandazioni di Primavera” del 02 giugno, aveva redarguito l’Italia rispetto al severo provvedimento normativo del blocco dei licenziamenti prorogato da oltre un anno. Le argomentazioni della Commissione UE, a parere della scrivente, appaiono tuttavia deboli poiché si articolano attorno al rischio di discriminazione tra i contratti a tempo indeterminato (beneficiari del blocco dei licenziamenti) ed il cosiddetto lavoro precario rappresentato dai contratti di lavoro a termine. Tale analisi è miope in quanto trascura la considerazione che queste due tipologie di rapporti, con la loro differenziazione, caratterizzano da sempre il mercato del lavoro ma, soprattutto, non tiene conto del fatto che tutto l’impianto normativo emergenziale, iniziato nel marzo 2020 con il “Cura Italia”, è intervenuto in maniera significativa anche sulla normativa del Contratto di Lavoro a Tempo Determinato e di Somministrazione, derogando a numerose discipline della stessa e garantendo una temporanea stabilità anche a questa tipologia di contratti.
Il tema dello sblocco dei licenziamenti, tuttavia, appariva ad una frettolosa lettura dell’art. 40 del Sostegni Bis. Infatti, una più attenta lettura di questo disposto normativo ridimensionava notevolmente la portata della tanto propagandata novità. Nello specifico, anche il testo del nuovo Decreto continua a collocare il blocco dei licenziamenti nel medesimo articolo che disciplina l’istituto degli ammortizzatori sociali, confermando in tal modo la stretta correlazione ed alternatività tra i due strumenti. Nel fare ciò la norma, al 3° comma dell’art. 40, stabilisce espressamente che i datori di lavoro privati che, a partire dal 01 luglio, sospendano o riducano l’attività, possono ricorrere allo strumento della Cassa Integrazione Guadagni Ordinaria di cui al Decreto Legislativo 148/2015, senza dover corrispondere alcuno contributo addizionale. Sostanzialmente il legislatore sposta la disciplina dell’ammortizzatore sociale uscendo dalla causale Covid19, ripristinando la Cassa Integrazione Ordinaria in deroga alla norma che ne disciplina il costo contributivo a carico del datore di lavoro, rendendola in tal modo “gratuita” e, di conseguenza, appetibile.
Nel contempo, lo stesso articolo, al successivo comma 4°, stabilisce che per i datori di lavoro che utilizzino gli ammortizzatori sociali continua ad insistere il divieto di licenziamento per tutta la durata degli stessi, ovvero, sino al 31 dicembre 2021, scadenza del Sostegni Bis. In buona sostanza, il legislatore ribadisce l’alternatività tra i due strumenti così come era già stata sancita dai precedenti decreti. Ne deriva che il datore di lavoro che continui a registrare una contrazione dell’attività produttiva dovrà scegliere se proseguire con l’utilizzo della Cassa Integrazione a condizioni economiche vantaggiose e, conseguentemente, rinunciare alla possibilità di licenziamenti, ovvero, se licenziare del personale in forza precludendosi la possibilità di accedere alla Cassa Integrazione Guadagni.
Concretamente, le valutazioni di convenienza ed opportunità di un’azienda che continui a presentare un andamento economico ancora incerto, rendono molto più apprezzabile e preferibile l’ammortizzatore sociale “gratuito” in luogo di licenziamenti che, oltre ai costi/contributi vivi fisiologicamente derivanti dalla risoluzione di rapporti di lavoro, non farebbero altro che aggiungere, all’andamento economico incerto, ulteriore incertezza dovuta all’alea della vertenzialità che ne deriverebbe. Da un’attenta lettura del richiamato art. 40 del Sostegni Bis, quindi, il vero elemento di novità non è tanto ciò che è definito lo “sblocco dei licenziamenti”, quanto la decontribuzione dell’ammortizzatore sociale “ordinario”, riprendendo tout court la peculiarità che fu già della Cassa Integrazione Guadagni con causale Covid19 così come introdotta nel marzo 2020 dal Cura Italia. La ratio legis di questa norma appare molto chiara e di tutta evidenza, ovvero, agevolare tutte le forme possibili di conservazione del patrimonio professionale almeno sino alla fase iniziale del processo di riconversione e resilienza produttiva e professionale che dovrà accompagnare l’implementazione delle grandi riforme scritte nel PNRR e scongiurare, il più possibile, ogni forma di conflitto sociale. Al termine di tale analisi, qualcuno di altri tempi avrebbe concluso con il motto: “cambiare tutto affinché nulla cambi!”.
Nonostante la ridimensionata portata della norma sul “rischio” licenziamenti sopra descritta, il fronte sindacale, con insistenza e con la minaccia di un “autunno caldo”, ha chiesto ed ottenuto un’ulteriore mediazione sul punto, sino a giungere in extremis, in data 30 giugno u.s., ad ottenere un correttivo al Sostegni Bis.
Con il Decreto Legge n. 99 del 30 giugno 2021, il Governo ha introdotto l’ennesima deroga allo sblocco dei licenziamenti con particolare riguardo alle aziende industriali operanti nel settore del tessile, confezioni e la relativa filiera avente i codici Ateco espressamente indicati. Nello specifico, l’art. 4 di tale Decreto così recita: “i datori di lavoro delle industrie tessili, delle confezioni di articoli di abbigliamento e di articoli in pelle e pelliccia, e delle fabbricazioni di articoli in pelle e simili, identificati, secondo la classificazione delle attività economiche Ateco 2007, con i codici 13, 14 e 15, che, a decorrere dalla data del 1° luglio 2021, sospendono o riducono l'attività lavorativa, possono presentare, per i lavoratori in forza alla data di entrata in vigore del presente decreto, domanda di concessione del trattamento ordinario di integrazione salariale di cui (…) al decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18 per una durata massima di diciassette settimane nel periodo compreso tra il 1° luglio e il 31 ottobre 2021. Per i trattamenti concessi ai sensi del presente comma non è dovuto alcun contributo addizionale.”
In buona sostanza, solamente per questo settore, rimane la causale COVID19 ed il conseguente blocco dei licenziamenti sino al 31 ottobre 2021.
Per tutte le altre tipologie di aziende industriali, escluse dai sopra richiamati settori merceologici, restano invariate le disposizioni introdotte dal Decreto Sostegni bis per l’accesso alla CIGO ex D. Lgs. 148/2015 “gratuita” come sopra approfondite. Unica novità introdotta dall’ Intesa Comune sul Lavoro sottoscritta tra le parti sociali in data 29 giugno u.s., in via propedeutica alla redazione del Decreto Legge 99, è rappresentata dall’impegno assunto dalle categorie datoriali principalmente coinvolte nel settore industriale, ovvero, Confindustria, Confapi, Alleanza Cooperative, di orientare e far convergere le aziende loro rappresentate sull’ammortizzatore sociale anziché procedere con licenziamenti, in attesa della riforma degli ammortizzatori sociali e l’avvio di politiche attive e riconversione produttivo-professionale.
Da una prima lettura comparata delle due disposizioni normative, così come modificate in seguito all’introduzione del D.L. 99 del 2021, a sommesso parere di chi scrive, preme evidenziare un vulnus normativo e “sociale” non trascurabile. Infatti, se la ratio legis della modifica introdotta del D.L. 99 rivolta alle imprese del settore tessile è quella di introdurre un regime di tutele più stringente per un settore maggiormente in crisi da tempo e scongiurare importanti “emorragie” di licenziamenti con conseguenze importanti in termini di perdita di posti di lavoro e livelli di disoccupazione in un comparto, notoriamente, a prevalente occupazione femminile, l’attuale disposizione, per come è formulata, pare mancare l’obiettivo. Quindi, mentre per tutte le aziende industriali è stato elaborato un impianto normativo orientato a garantire la conservazione dei posti di lavoro che arriva al 31 dicembre p.v., per le aziende del settore tessile, paradossalmente, già al termine del 31 ottobre p.v., ovvero con due mesi di anticipo, potrebbe presentarsi uno scenario del “libera tutti”. Sicuramente non sarà così ma, a scanso di equivoci, è auspicabile che prima di detta scadenza arrivino gli opportuni chiarimenti e correttivi.
Infine ma non per ultimo, in ordine agli aspetti operativi del ricorso alla Cassa Integrazione Guadagni Ordinaria, ad onor del vero, si registrano numerose incognite legate a vari punti quali: decurtazione di queste settimane di CIGO dalle complessive 52 settimane fruibili nel biennio mobile; attivazione della procedura di consultazione sindacale nei termini ordinari (10 o 25 giorni antecedenti l’inizio); pagamento diretto delle quote di provvidenze a carico dell’INPS ed indice di indebitamento; redazione della relazione tecnica ed indicatori economico-finanziari dell’ultimo biennio; limite dei 2/3 del monte ore di sospensione; obbligo di ripresa dell’attività lavorativa al termine della CIGO; etc.. Tutti questi interrogativi saranno chiariti da apposita circolare INPS, di prossima pubblicazione, che si presume ed auspica confermerà la procedura semplificata di accesso all’ammortizzatore ordinario. Un diverso orientamento non si giustificherebbe in quanto sarebbe in evidente conflitto con la ratio di tutto questo impianto normativo.
CONSULENZA E RELAZIONI INDUSTRIALI POLITICHE DEL LAVORO - Alessandra Mei